LA DONAZIONE E' LA CHIAVE DI VOLTA PER I PROGRESSI DELLA RICERCA CONTRO I TUMORI DEL SANGUE
L’ematologo e presidente di AIL, il professor Sergio Amadori, spiega perché il ruolo dei donatori è strategico: «Trasfusioni vitali per le terapie di supporto dei pazienti oncoematologici»
Non ci sono solo i pazienti a beneficiare del gesto etico e solidale dei donatori. Se nel corso degli anni la ricerca ha potuto compiere costanti e significativi passi in avanti nella cura di terapie croniche o di tumori del sangue, gran parte del merito è anche loro. Soprattutto in un periodo come quello che stiamo attraversando.
Dopo la pandemia, con tutte le restrizioni che hanno comportato la riorganizzazione delle strutture sanitarie, e le fake news che da settimane si rincorrono creando panico e confusione senza senso, migliaia di donne, uomini e giovani continuano ad assicurare scorte di emocomponenti ai nostri ospedali.
Tuttavia, il tema delle carenze va tenuto costantemente sotto controllo e per ribadire quanto il ruolo dei volontari sia strategico in tal senso, nella puntata di oggi della rubrica #GOCCIAdopoGOCCIA – L’importanza della donazione abbiamo deciso di parlare con una delle figure di riferimento in ambito ematologico: il presidente dell’AIL (l’Associazione Italiana contro Leucemie, linfomi e mieloma), il professor Sergio Amadori.
Professore, donazione e ricerca scientifica sono un binomio ormai consolidato nel tempo…
«È un legame che esiste da tantissimi anni, da quando vennero avviati i primi trattamenti chemioterapici intensivi per la cura dei tumori del sangue. Seguire simili procedure senza poter contare sul supporto trasfusionale significa condannare a morte i pazienti».
Proviamo a spiegare meglio questo concetto?
«Il sangue è essenziale nell’ambito in cui operiamo. Molti trattamenti sono cambiati, infatti da qualche anno viene attuata quella che chiamiamo “terapia di precisione”, una tecnica che consente di colpire quasi selettivamente le cellule tumorali: parliamo di soluzioni straordinarie che, a differenza di quanto avveniva fino a trent’anni fa, ci permettono di assicurare una buona riuscita nella cura del 70% dei tumori ematologici».
Quanto c’è, dell’impegno dei donatori, nei passi in avanti compiuti in questo ambito?
«Personalmente, definisco la donazione come la chiave di volta per i progressi della scienza contro i tumori del sangue. Gli emocomponenti non servono soltanto per il paziente anemico, ma fanno parte di specifici programmi di ricerca. Per capirlo basterebbe leggere i protocolli terapeutici attualmente in essere: ciascuno prevede le cosiddette “terapie di supporto”».
Può farci un esempio?
«Qualunque strategia innovativa possibile oggi, lo è perché possiamo contare sui donatori: senza di loro non avremmo potuto tagliare i traguardi degli ultimi anni, in primis il trattamento con le CAR-T. È vero che si tratta di cellule che vengono modificate in laboratorio, ma è altrettanto vero che questa procedura consente di trattare meglio un numero crescente di pazienti. Qui entra in gioco il sangue donato: le persone che effettuano questa terapia sono soggette ad aplasia, la mancata produzione da parte del midollo di globuli rossi, bianchi e piastrine, motivo per cui le trasfusioni diventano imprescindibili».
Il calo della raccolta sta condizionando il cammino della ricerca?
«Diciamo che ha generato una serie di conseguenze legate l’una all’altra. Mi spiego meglio. Molti pazienti, per i quali erano state programmate terapie intensive con supporto trasfusionale, durante i mesi più critici della pandemia avevano manifestato disagio nel recarsi in ospedale per paura dei contagi. I trattamenti sono stati sostituiti con altre tipologie di intervento, magari da fare a casa, ma di efficacia inferiore. Purtroppo, i tumori del sangue richiedono azioni decise e molti protocolli sperimentali si sono ridotti per il numero di persone che potevano esserne coinvolte. La carenza è un tema che dobbiamo sempre tenere sotto osservazione: solo grazie all’impegno dei colleghi ematologi e dei volontari di AIL, sempre vicini ai pazienti nel sostenerli e incoraggiarli a recarsi in ospedale, siamo riusciti a contenere l’impatto del virus».
Cosa significa, in tal senso, aver sottoscritto un protocollo d’intesa insieme ad AVIS Nazionale?
«Le nostre sono due associazioni legate a doppio filo: volontari che donano e pazienti che vivono grazie al loro gesto etico e solidale. Quindi perché non fare insieme opera di promozione e sensibilizzazione? Tra l’altro il mese di giugno è un momento dell’anno che ci unisce particolarmente, visto che il 14 è la Giornata mondiale del donatore di sangue, mentre il 21 ricorre la Giornata nazionale per la lotta contro i tumori del sangue: le leucemie, i linfomi e il mieloma. Come diceva il professor Franco Mandelli, “dobbiamo essere in grado di curare tutti i tumori del sangue”. Oggi siamo sulla buona strada e grazie ai donatori potremo arrivare a garantire il 100% del bisogno trasfusionale».
Fake news, no-vax, no green pass: come vive il mondo della ricerca quello che sta avvenendo in questo periodo?
«Siamo sconcertati di fronte a certi concetti che non fanno altro che creare confusione. Da medico mi chiedo: perché? A cosa serve agire in questo modo? Credo sia bene sottolineare che definirsi no-vax non rende immuni dall’infezione, il Covid non fa sconti a nessuno. In tal senso penso che un’informazione corretta sia fondamentale anche per togliere spazio e voce a chi mette in giro simili teorie. Anche perché l’effetto che si genera è a cascata, si pensi al caso di quei genitori di Modena che pretendevano per il figlio solo il sangue di persone non vaccinate. Se invece c’è un’arma che ci consente di scampare alle terapie intensive, questa è proprio il vaccino. Adesso inizierà anche la campagna per somministrarlo ai bambini più piccoli: questa è un’opportunità straordinaria, non un pericolo da evitare. AVIS e AIL, in tal senso, sono un esempio eccezionale di informazione e sensibilizzazione su tutto ciò che si sta facendo. E questa è la strada che dobbiamo continuare a percorrere insieme».