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IL PLASMA MATERNO AIUTA A INDIVIDUARE LA PREECLAMPSIA

 

Secondo uno studio, un esame del sangue potrebbe favorire la diagnosi precoce di una delle complicanze più gravi durante la gravidanza

 

Basterebbe un’analisi dell’Rna presente nel plasma materno per individuare precocemente la preeclampsia, una delle complicanze più gravi che si manifestano nel corso della gravidanza. È quanto emerge da uno studio effettuato dall’Harvard Medical School e dal Massachusetts General Hospital che nei giorni scorsi è stato pubblicato su Nature

 

Si tratta di una patologia che consiste nello sviluppo di ipertensione o nel peggioramento di ipertensione già esistente, accompagnata dalla presenza di un eccesso di proteine nelle urine che si sviluppa dopo le 20 settimane di gestazione. Colpisce circa il 3-5% delle donne incinte e per evitare conseguenze preoccupanti per la mamma e il bambino è fondamentale diagnosticarla in tempo: per questo, occorre tenere sempre sotto controllo la pressione. Caratterizzata da una disfunzione endoteliale materna e associata ipertensione di nuova insorgenza, la preeclampsia complica fino a una gravidanza su 12 e rappresenta non solo una causa significativa di morbidità materna, ma anche un rischio maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari nel corso della vita.

 

I ricercatori hanno analizzato otto coorti di pazienti comprendenti 1840 gravidanze e 2539 campioni di plasma presenti nella banca dati, arrivando a stabilire che le firme di cfRNA da un singolo prelievo di sangue possono tracciare la progressione della gravidanza a livello placentare, materno e fetale, nonché prevedere la preeclampsia con una sensibilità del 75% e un valore predittivo positivo del 32,3%, superiore quindi a qualsiasi altro procedimento diagnostico al momento disponibile. Le firme cfRNA della normale progressione della gravidanza e della preeclampsia sono indipendenti da fattori clinici, come l’età materna, l’indice di massa corporea e la razza, che insieme rappresentano meno dell’1% della varianza del modello.

 

A differenza di altri studi che si erano concentrati sulla ricerca di biomarcatori nelle persone in cui la malattia si era già manifestata, quello in questione è partito proprio dal sangue materno per individuare il prima possibile la presenza, o quantomeno la predisposizione, a questa patologia e riuscire così a intervenire, con valutazioni personalizzate per ciascuna paziente, con terapie farmacologiche e correzioni dello stile di vita.